DECRETO 231 – I NUOVI REATI E I RECENTI INTERVENTI

Si amplia ulteriormente il catalogo dei reati presupposto di cui al D. Lgs. 231/2001 dopo la corposa novella della Riforma sui reati ambientali del 2015.

A breve distanza dall’inserimento del reato di immigrazione clandestina (L. 161/2017), il recinto applicativo della responsabilità amministrativa degli enti ha ulteriormente allargato i propri confini con la previsione dei reati di istigazione al razzismo e di xenofobia (L. 167/17, cd Legge europea 2017).

E’ noto che la continua evoluzione normativa impone alle imprese di adottare un approccio dinamico del Modello 231. In questo articolo ci proponiamo di ripercorrere i tratti caratteristici delle nuove prescrizioni normative a distanza di un anno dalla loro entrata in vigore.

A. IMMIGRAZIONE CLANDESTINA

Dal 19 novembre 2017 è operativa la Legge 17 ottobre 2017 n. 161 che, oltre a prevedere la riforma del codice delle leggi antimafia, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, introduce alcune nuove fattispecie di reato in materia di responsabilità amministrativa degli enti ex D.Lgs. 231/01.

La novella attua l’art. 11 direttiva 2009/11/CE che imponeva agli Stati di introdurre forme di responsabilità per le persone giuridiche coinvolte nello sfruttamento del lavoro di stranieri irregolari. Il fenomeno dello sfruttamento del lavoro irregolare rientra, peraltro, proprio in quella criminalità economica che rappresenta il terreno naturale della responsabilità degli enti ex Decreto 231.

In particolare, è stato modificato l’art. 25 duodecies del d.lgs. n. 231/2001 con l’inserimento dei commi 1-bis, 1-ter e 1-quater che si riferiscono ai delitti di cui all’articolo 12 commi 3, 3-bis, 3-ter e 5 del T.U.  Immigrazione, d.lgs. n. 286/1998Le novità consistono quindi nell’introduzione dei seguenti reati:

procurato ingresso illecito (commi 3, 3-bis e 3 ter dell’art. 12 TU immigrazione).

Con tale fattispecie vengono punite le condotte che, in violazione delle disposizioni del testo unico sull’immigrazione, promuovono, dirigono, organizzano, finanziano o effettuano il trasporto, in situazione di pericolo o in maniera degradante o umiliante, di almeno 5 stranieri nel territorio dello Stato ovvero compiono altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale le persone non sono cittadini o non hanno titolo di residenza permanente.

Maggiori sanzioni sono inoltre previste se:

    1. il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti;
    2. gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti sono previste;
    3. i fatti sono commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento;
    4. sono commessi al fine di trame profitto, anche indiretto (quest’ultimo caso è implicito nell’interesse e vantaggio della società).

favoreggiamento della permanenza clandestina (comma 5 art. 12).

In questo caso si puniscono invece le società che, salvo che il fatto non costituisca più’ grave reato, favoriscano la permanenza degli immigrati clandestini nel territorio dello Stato in violazione delle norme del citato testo unico.

Le società e gli enti sono quindi chiamati a “mappare” i possibili rischi di commissione di tali reati. Rischio che interessa soprattutto le realtà che operano nel settore dei trasporti e/o dell’accoglienza, ma anche enti all’interno dei quali vi sia il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne l’attività.

In caso di condanna dell’ente per i reati di cui sopra, oltre alle sanzioni pecuniarie – che vanno 400 a 1000 quote per la prima ipotesi e da 100 a 200 quote per il favoreggiamento – è prevista anche l’applicazione delle sanzioni interdittive di cui all’art. 9 comma 2 d.lgs. n. 231/2001, per una durata non inferiore a un anno.

Inoltre, l’art. 11 co. 3 lett. d) del nuovo Codice Antimafia, con riferimento al controllo giudiziario delle aziende, attribuisce al Tribunale la possibilità di imporre, tra gli obblighi dell’amministratore giudiziario qualora nominato, l’adozione e l’efficace attuazione anche di un modello di organizzazione, gestione e controllo ex D.Lgs. 231/01, comprese/o misure contro i delitti di criminalità organizzata.

B. RAZZISMO E XENOFOBIA

In attuazione della Decisione Quadro 2008/913/GAI, finalizzata alla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia, la Legge Europea 2017 ha disposto l’aggiunta al corpo normativo del Decreto 231 del nuovo art. 25-terdecies, rubricato “razzismo e xenofobia”, elevando quindi a reato presupposto quanto previsto all’articolo 3, comma 3-bis, della legge 13 ottobre 1975, n. 654.

Con tale disposizione divengono rilevanti, ai fini della responsabilità penale dell’Ente, tutte le fattispecie di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico ovvero di istigazione o incitamento a compiere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Lo scopo è punire i partecipanti di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi il perseguimento di tali reati, oltre alla negazione o la minimizzazione, in modo grave, della Shoah o dei crimini di genocidio o contro l’umanità.

I contesti economici maggiormente interessati dalla novella sono certamente quelli legati alle testate editoriali, alle imprese radiotelevisive e ai gestori di siti web (si pensi ai post pubblicati da soggetti terzi su piattaforme che appartengono ad un’azienda, la quale, indirettamente, può essere coinvolta nell’illecito).

Quale invece il concreto rischio connesso ad una comune realtà aziendale?

Probabilmente marginale ma in ogni caso tale da non poterlo escludere tout court; ad esempio andrà valutata l’introduzione di procedure volte ad escludere sia l’utilizzo di locali aziendali da parte di organizzazioni a rischio razzismo/xenofobia, sia forme di finanziamento ad eventi e manifestazioni che perseguono tali scopi. In tali situazioni, infatti, si ripropone il tema, mai del tutto sopito, del concorso nell’illecito da parte dell’ente che favorisca la commissione dell’illecito.

In caso di commissione dei reati sopracitati

  • si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, D. Lgs. 231/2001, per una durata non inferiore a un anno;
  • inoltre, qualora la propaganda, l’istigazione o l’incitamento si fondino in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, si applica la sanzione pecuniaria da duecento a ottocento quote;
  • se infine l’Ente è stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei delitti sopra indicati, quale ipotesi aggravante, si applicherà la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività.

Ciò detto, ha creato non poco disorientamento l’approvazione del D.lgs. 21/2018 (entrato in vigore il 6.4.2018) il quale ha abrogato l’art. 3 della L. 654/75, senza, tuttavia, intervenire direttamente sul Decreto 231. Se in un primo momento taluna dottrina ha (frettolosamente) avvalorato l’ipotesi di tacita abrogazione anche del reato presupposto di cui all’art. 25 terdecies, si è poi ragionevolmente osservato come, per tale fattispecie, il rapporto strutturale tra Decreto 231 e norma penale sia comunque garantito dalla previsione del reato di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa di cui art. 604 Codice Penale.

C. ULTERIORI INTERVENTI

Corre, infine, l’obbligo di segnalare come sia stato recentemente assegnato alla Commissione Giustizia del Senato il disegno di Legge 726/18, il quale mira a introdurre l’obbligatorietà del Modello 231. La previsione pare riferirsi alle Srl, Spa, Sapa, alle società cooperative e alle società consortili che, in uno degli ultimi tre esercizi, abbiano riportato un totale dell’attivo dello stato patrimoniale non inferiore a 4,4 milioni o ricavi delle vendite e delle prestazioni non inferiori a 8,8 milioni. Il medesimo obbligo vale anche per le società che controllano una o più di tali realtà e/o società consortili che fuoriescano dai limiti stessi.

Altrettanto utile è ricordare che il ddl Anticorruzione, cd “Spazzacorrotti”, approvato alla Camera lo scorso dicembre, ha previsto un considerevole inasprimento delle sanzioni interdittive 231 per la commissione dei reati presupposti di concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità e corruzione (art. 25, comma 5). L’inasprimento sanzionatorio ha inciso anche sulla pena prevista per i reati di corruzione, ora fissata da un minimo di 3 anni ad un massimo di 8 anni di reclusione (in precedenza da 1 a 3 anni).